giovedì 7 febbraio 2013

La nonna Serena

La nonna Serena era la nonna di Luciano. L'ha praticamente allevato lei, poiché la sua mamma, malata di tubercolosi, era spesso in ospedale.
Una donna del popolo, semplice e analfabeta, ma era intelligente e molto spiritosa.
 
Tanto per inquadrare il suo senso dell'umorismo, che molto probabilmente si è propagato poi nei discendenti, si sappia che, quando ha conosciuto Pietro, che poi diventò il marito, lei era una ragazza madre e non è che smaniasse proprio per convolare, tant'è che gli disse, in dialetto bolognese:
"Sent mo', Piren: se tu'm vu spusèrum, tu'm fè un piasàir. Se no tu'm na fè du!"
(Senti mo', Pierino, se mi vuoi sposare mi fai un piacere. Altrimenti me ne fai due!")
 
Il babbo ci raccontava gli aneddoti di sua nonna pieno d'orgoglio per la sua spiritosaggine:
una volta, bevendo il caffè, le cadde di mano la tazzina e si ruppe.
Subito il marito le chiese: "Ban, cum t'è fat!?"
E lei: "dam mo' un'étra c'at fag vadder"
Lui gliene portò un'altra e lei la fece cadere, rompendola: "A iò fàt acsè!"
 
A quei tempi, per Capodanno, c'era l'usanza che i bambini maschi andassero a far gli auguri nelle case.
La nonna Serena, che faceva la donna di servizio presso alcune famiglie, aveva piacere che anche il babbo andasse a far gli auguri. Ma lui era timido e non voleva.
La nonna aveva escogitato un piano: lasciare l'ombrello a casa di una delle signore da cui andava a servizio, dicendo al babbo di esserselo dimenticato e di andarlo a recuperare; e in questo modo sarebbe stato nella situazione di dover far gli auguri per forza.
Succedeva poi che il babbo andasse, la signora gli offriva biscotti, caramelle e qualche soldino, così si dimenticava dell'ombrello e degli auguri.
 
Questa era la nonna dei tempi migliori.
 
Infatti poi si ammalò, rimanendo ferma a letto, alzandosi a volte solo per andare in bagno, ma correndo il rischio di cadere. E a volte è successo.
  
Il babbo intanto era cresciuto, era circa la metà degli anni '50; si era diplomato e insegnava a Labante, sull'Appennino bolognese, a 50 Km da casa.
Era già fidanzato con la mamma, e tutto era partito con la scusa delle ripetizioni.
La mamma, prima di andare a scuola, andava a trovar la nonna, la lavava e le cambiava il letto bagnato; nel pomeriggio ci tornava per vedere se poteva far qualcosa, prima che il babbo arrivasse.
 
La nonna era anche golosa e spesso chiedeva alla mamma di andarle a prendere la focaccia con la panna da "Pino", una gelateria che esiste ancora a Porta Castiglione, anche se non fa più le cose buone di una volta.
 
Era una situazione molto impegnativa sia per il babbo che per la mamma, ma facevano tutto molto volentieri: anche la mamma aveva imparato a voler bene alla nonna.
 
Poi la sua malattia si aggravò e fu ricoverata all'ospedale di Castel San Pietro, vicino a Imola, ma da lì a un mese morì.
Il babbo era andato da lei in corriera, ma tornò facendosi tutta la strada a piedi (30 Km) e solo e disperato andò subito dalla mamma.


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martedì 5 febbraio 2013

Macchine (e non)

Negli anni '60 l'esigenza di una macchina in famiglia non era ancora particolarmente sentita.
Infatti Luciano non ce l'aveva e con la Lella si spostavano in Lambretta.
 
Come si vede ancor oggi in certi servizi girati in Sud Italia o nel Sud del mondo, famiglie intere vengono caricate sulla moto di famiglia, e ci si sposta così: rigorosamente senza casco.
Nacque Antonio nel '60 e la Serena nel '61 e fino al '66 non ci fu problema: bastava caricare la truppa e via. La cosa divenne impegnativa alla nascita della Silvia nel '66: con la pancia prima e la cinna poi, cominciò ad essere impraticabile.
 
Per questo decisero il grande passo: prendere una macchina! Fu, come per quasi tutte le famiglie senza grosse pretese dell'epoca, una Bianchina Fiat, ovviamente di 2°, 3° ... o non si sa quale mano. Era bianca, più o meno come questa.

Ovviamente l'acquisto era in virtù del fatto che qualcuno la guidasse, il che implicava uno straccio di patente per il babbo. La prese da privatista (forse non esistevano neanche le autoscuole) grazie alle lezioni del nostro vicino di casa, Claudio. (fare link a Vicini di casa).
Claudio è sempre stato uno che di macchine ne sapeva, e anche di guida. Il babbo invece ha sempre guidato con lo stesso spirito con cui si prende una medicina: perché si deve!
Con la Bianchina siamo andati benone per diversi anni. Ci scarrozzava la domenica per andare a trovare i nonni in centro, per le gite a Granara dagli Zarabini (link ad amici), e le occasioni in cui tutta la famiglia si doveva muovere.
 
Nel '70 nacque Maurizio: dietro eravamo già in tre che ci litigavamo il posto dalla parte del finestrino. Aggiungerci un neonato era come metterlo nella fossa dei leoni. Quindi stava davanti, in braccio alla mamma che spesso lo allattava (ciò è durato quasi 3 anni!). Le cinture di sicurezza non solo non erano obbligatorie, ma nemmeno erano state inventate.
Il frugolo, crescendo come un vitello, cominciava a ingombrare più del dovuto e probabilmente agognava partecipare alla diatriba per il posto dalla parte del finestrino e, quando la Bianchina ci lasciò definitivamente a piedi, passammo ad una Prinz grigia, rigorosamente usatissima, simile a questa.
Non durò molto: di sicuro il riscaldamento non c'era (o non funzionava?!?) e c'erano buchi dove si appoggiano i piedi e in inverno sentivamo un gran freddo. Dicevamo: "babbo ma ci sono i buchi per terra!, entra freddo" e lui ci raccontava che erano le "prese d'aria" fatte apposta per garantire a tutti un salutare ricircolo.
 
 Anche la Prinz vide presto la sua ingloriosa fine, per far posto ad una vera ammiraglia: la ceca Skoda, evidentemente costruita alla cieca (tanto per dare un'idea ci superavano le biciclette).
La sua bruttezza era certamente in linea con la Prinz, ma con l'aggravante che aveva un colore sovietico che non era beige, non era tortora (ma ancora questo colore non esisteva nel nostro vocabolario, la tortora era un animale e basta), non era niente, ... era un color "can che fugge", al punto che la battezzammo, per offenderla adeguatamente, la "Skoda rosa".
 
Ingrati! Con la Skoda andammo anche in Jugoslavia, in uno dei nostri viaggi allucinanti (link a viaggi). Dentro, il carico di bambini e vettovaglie; sopra, legate sul portapacchi invece, le valigie, la tenda & c.
Oggi, che siamo nel 2013, vediamo solo le macchine degli extracomunitari (e di quelli messi peggio fra loro!) conciate in questo modo, mentre allora era abbastanza normale, almeno nel nostro giro.
 
 
Ma la smania del viaggiare spinse la famiglia ad esigenze di spazio sempre maggiori, tanto che si passò al Pulmino. Un Fiat 850 blu elettrico tipo questo, solo che il nostro non brillava, era pieno di botte e aveva l'immancabile portapacchi. Per il resto ha fatto un servizio egregio, scarrozzandoci più volte al mare (link a Casa al mare), in Svizzera e anche a Vienna!
Presentava qualche anomalia al motore, ma grazie alle raffinate tecniche trasmesse dal meccanico di fiducia (Felicani, link amici) al babbo, bastava avere in macchina una bottiglia d'acqua e una spugna.
Capitava infatti che il motore si surriscaldasse, facendo accendere tutte le spie. Il babbo si fermava, sollevava con maestria il cofano e, con abilità sorprendente, spugnava il radiatore, il quale, raffreddandosi di botto, riprendeva subito il proprio dovere.
 
 
Non ancor pago di Fiat 850, e soprattutto motivato dalla facilità della manutenzione, dopo quello blu il babbo optò per quello rosso.
Ma ormai eravamo verso gli anni '80, i figli più grandi declinavano il più possibile, mentre i piccoli soccombevano ai giri con la famiglia, cominciando forse a rendersi conto che i babbi dei loro amici avevano macchine meno folkloristiche.
 





Nella carrellata dei mezzi di locomozione, non possiamo dimenticarci di annoverare anche il mitico Gioietta, un fatiscente motorino giallo-verde che ha sempre fatto il suo sporco lavoro per i maschi di casa.


In casa, nei primi '70 invece c'era Maurizio con questa, che un anno la Silvia legò all'albero di Natale che stava sopra a un tavolo, così quando Maurizio partì a tutta birra si tirò addosso l'albero e con esso tutto il presepio,..., ma questa è un'altra storia (link a Natale)